Pesticidi e acrilammide nei biscotti: le peggiori sono queste 4 marche, secondo l’ultimo test italiano

Tante persone iniziano la giornata mangiando biscotti accompagnati da latte, caffè o altre bevande. Ma cosa contengono davvero i frollini? Per scoprirlo Il Salvagente ha analizzato 15 referenze, tra le più note e utilizzate dai consumatori italiani

@bodnar.photo/Shutterstock

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Iniziare la giornata con una sana colazione è molto importante ma siamo sicuri che scegliere i biscotti sia una buona idea? Ad analizzare il contenuto dei più noti e utilizzati frollini per la colazione o la merenda è stata la rivista Il Salvagente che ne ha presi a campione 15, di note marche, private label e anche bio.

Nello specifico, i biscotti protagonisti del test sono stati i seguenti:

GALLETTI BARILLA MULINO BIANCO
FROLLINI CARREFOUR
COLUSSI IL GRANTURCHESE
FROLLINI CON GRANELLA DI ZUCCHERO CONAD
FROLLINI CON GRANELLA DI ZUCCHERO COOP
FROLLINI CON GRANELLI DI ZUCCHERO DOLCIANDO (EUROSPIN)
FROLLINI CON GRANELLI DI ZUCCHERO ESSELUNGA
GALBUSERA BUONI COSÌ SENZA ZUCCHERI AGGIUNTI
GENTILINI NOVELLINI
FROLLINI I TESORI DEL FORNO (TODIS)
FROLLINI CON GRANELLA DI ZUCCHERO LE BON (MD)
MISURA DOLCE SENZA SENZA ZUCCHERI AGGIUNTI
NATURASÌ NOVELLINI
REAL FORNO FIOR DI ZUCCHERO (LIDL)
SAIWA ORO CLASSICO

I laboratori che hanno analizzato i frollini sono andati alla ricerca al loro interno di sostanze indesiderate come:

pesticidi
acrilammide
micotossine
troppo zucchero
sale

I risultati

Partiamo dalla buona notizia: tutti i prodotti testati sono eccellenti dal punto di vista delle micotossine, il che prova – come scrive Il Salvagente – che:

“la scelta della materia prima (così come il procedimento di stoccaggio e trasporto) è diventata più accurata tanto da evitare, come accadeva spesso in passato, la profilerazione di funghi e muffe.”

Si segnala comunque la presenza di Don in alcuni biscotti. Si tratta di una micotossina problematica in particolare per i bambini, ma dato che in questo caso non parliamo di biscotti dedicati specificatamente ai piccoli (bambini al di sotto dei 3 anni), i prodotti non sono stati più di tanto penalizzati per questo.

Sull’acrilammide, invece, il discorso è diverso. Questo contaminante di processo è stato trovato in vari frollini, così come i pesticidi (solo un terzo dei prodotti non ne presentava traccia).

In merito alla composizione nutrizionale e gli ingredienti dei biscotti, si nota in particolare l’eccesso di sale (ne contengono in media 0,72 grammi ogni 100 grammi) e zucchero (il frollino che ne contiene di più è quello di Carrefour). Va meglio se consideriamo le fibre, alcune referenze ne contengono infatti la giusta quantità.

Inoltre, segnala Il Salvagente, che:

“Più della metà dei frollini non annovera nella sua ricetta nessun ingrediente sospetto, pur essendo i biscotti alimenti ultra-processati per eccellenza. C’è ancora qualche azienda – Eurospin, Conad, Lidl, Todis e MD – che utilizza l’olio di palma mentre qualcuno opta per quello di colza (Mulino Bianco e Lidl). E non manca chi ha sostituito lo zucchero con gli edulcoranti.”

I sostituti dello zucchero però, come il maltitolo ad esempio, non sono in realtà migliori, possono infatti causare problemi gastrointestinali.

Ricapitolando, in alcuni biscotti sono stati trovati i seguenti ingredienti sgraditi:

  • olio di palma o di colza
  • difosfato disodico: che fa parte dei fosfati e polifosfati, accusati di ostacolare l’assimilazione del calcio
  • edulcoranti come il maltitolo e lo sciroppo di maltitolo
  • acrilammide che, nonostante lo Iarc dell’Oms l’abbia classificata come “probabile cancerogeno per l’uomo”, non è regolamentata con un vero e proprio limite ma solo con alcune soglie (che superano solo i biscotti Gentilini)
  • Don: tutti i campioni lo contengono al di sotto dei limiti di legge per gli adulti che corrispondono a 500 mcg/kg, ma i biscotti Conad superano il limite per i bambini sotto i 3 anni (200 mcg/kg)
  • pesticidi: trovati in due terzi del campione (ma sempre entro i limiti di legge). I peggiori, considerando questo parametro, sono i biscotti Carrefour che contengono residui di 4 fitofarmaci (piperonyl butoxide, deltametrina, pirimiphos methyl e la cypermethrin)

I frollini peggiori del test
Ultimi nella classifica dei biscotti con soli 3,5 punti troviamo i Novellini al latte e miele dei Gentilini, penalizzati per la presenza di acrilammide, Don e alcuni pesticidi in tracce.

A seguire con 4,5 punti, dunque sempre insufficienti, vi sono altre 3 referenze:

  • Conad
  • Misura
  • Naturasì (anche se non contiene pesticidi)

Per i risultati completi del test fate riferimento al numero di novembre de Il Salvagente.

Fonti:

https://www.greenme.it/lifestyle/sai-cosa-compri/pesticidi-e-acrilammide-nei-biscotti-le-peggiori-sono-queste-4-marche-secondo-lultimo-test-italiano/

Il Salvagente: https://ilsalvagente.it/2022/10/28/effetto-domino-il-nostro-test-su-15-frollini/

Addio pasta Buitoni? Epilogo di un marchio del Made in Italy

Nestlé non rinnoverà la licenza per l’uso del logo Buitoni da parte della Newlat Food, ma lo storico pastificio aretino rimarrà in funzione per produrre con altri marchi. Come Delverde, per esempio, che è di proprietà dell’azienda agroalimentare di Reggio Emilia insieme a Giglio e Polenghi.

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Il brand Buitoni, che ha fatto la storia della produzione di pasta Made in Italy, non esisterà più. Almeno per alcuni specifici prodotti che maggiormente hanno caratterizzato le tavole degli italiani e non solo.

La notizia è trapelata dalla decisione di Nestlé, multinazionale proprietaria del logo, di non rinnovare la concessione al gruppo Newlat Food per produrre con il marchio.

L’azienda del settore agroalimentare aveva acquisito il pastificio nel 2008 per continuare a fornire i prodotti da forno e i formati di pasta.

Con la scelta di non confermare la licenza per l’uso del brand specificatamente per la pasta secca e per gli articoli da forno, il marchio Buitoni è destinato ridimensionare nettamente la sua presenza sugli scaffali dei negozi. Cosa cambia per il settore pastario italiano?

Nestlé non rinnoverà la licenza per l’uso del logo Buitoni da parte della Newlat Food, ma lo storico pastificio aretino rimarrà in funzione per produrre con altri marchi. Come Delverde, per esempio, che è di proprietà dell’azienda agroalimentare di Reggio Emilia insieme a Giglio e Polenghi.

La concessione viene dunque interrotta dopo 13 anni, decidendo di fatto l’epilogo del marchio Buitoni che ha lasciato il segno nel Made in Italy della pasta.

La Nestlé italiana ha precisato che, in realtà, il logo è in standby e che: “Buitoni opera e continuerà a operare in Italia e all’estero con i suoi prodotti storici e iconici del made in Italy.”

Si tratta, nello specifico, di articoli quali pizze surgelate, paste e salse fresche, paste ripiene, basi gluten free e liquide prodotti in altri stabilimenti, diversi da quello originario di San Sepolcro.

La vicenda in realtà racconta molto dell’evoluzione industriale e delle strategie di mercato degli ultimi tempi. Già precedentemente, infatti, Newlat aveva palesato la volontà di abbandonare il brand che vale per la pasta il16% di fatturato sul totale.

Le ragioni sono almeno due: sfruttare maggiormente i propri loghi come Delverde, che gode di un posizionamento più alto e risparmiare sui costi delle royalties pagate a Nestlé, dal valore di circa 1,7 milioni di euro l’anno.

Ora, per 18 mesi la multinazionale svizzera manterrà a proprietà del marchio Buitoni con l’impegno di non venderlo. Il futuro è tutto incerto e ruota intorno alla fine del logo. L’idea di Newlat di acquistarlo, più volte espressa dal proprietario Angelo Mastrolia, è rimasta solo sulla carta.

Fonte: https://www.money.it/Addio-Buitoni-epilogo-di-un-marchio-Made-in-Italy

Cresce la popolazione del consumo responsabile

In Italia il consumo responsabile è una pratica consolidata

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fa la cosa giusta

 

Dalla spesa in gruppi di acquisto solidale ai viaggi di turismo responsabile. Cresce la popolazione “critica”. Le sfide per rafforzarla. La rubrica a cura dell’Osservatorio internazionale per la coesione e l’inclusione sociale (OCIS)

Per leggere tutto l’interessante articolo di Altreconomia clicca qui      https://altreconomia.it/italia-consumo-responsabile/

Nuovo scandalo negli Usa: la guerra sporca di Monsanto al biologico

Un piano ben orchestrato e finanziato per attaccare il biologico, screditarlo, istillare nei consumatori la sensazione che sia un bluff.

È quello messo in atto nel 2014 dai dirigenti di Monsanto, il principale fornitore mondiale di pesticidi e di semi geneticamente modificati. Lo scandalo, emerso in questi giorni, descrive come – ancora una volta – le multinazionali abbiano messo le mani sulla scienza per i loro poco confessabili interessi.

Lo studio “indipendente” che svela il bluff del bio
I fatti. È l’aprile 2014 quando esce il rapporto di 30 pagine di Academics Review, descritto come “una non-profit guidata da esperti accademici indipendenti in agricoltura e scienze alimentari”. Il gruppo svela che i consumatori sono stati ingannati, hanno speso più soldi per il cibo biologico a causa di pratiche di marketing ingannevoli da parte dell’industria del bio .
I titoli di stampa seguono a ruota: “Il bio smascherato” (Brownfield News) e “Industria bio, che boom per ingannare i consumatori” (Food Safety Tech News.

I risultati sono stati “approvati da un gruppo internazionale di scienze agricole indipendenti, scienze alimentari, esperti economici e giuridici di rispettate istituzioni internazionali”, assicura il comunicato stampa del gruppo.

Per eliminare ogni dubbio sull’indipendenza, il comunicato stampa conclude con questa nota: “La revisione degli accademici non ha alcun conflitto di interesse associato a questa pubblicazione e tutti i costi sono stati pagati con i nostri fondi generali senza alcuna specifica influenza o direzione del donatore “.

Ciò che non è mai stato menzionato nella relazione, nel comunicato stampa o sul sito web è che a partecipare alla raccolta fondi per Academics Review, ha collaborato Monsanto che ha anche definito la strategia, discusso i piani per nascondere i finanziamenti dell’industria, secondo quanto svelano le e-mail ottenute grazie alla legge che garantisce il diritto alla conoscenza statunitense, il Freedom Act.

Criticare il bio per magnificare gli Ogm
I motivi di Monsanto per attaccare l’industria bio? Semplici: i semi e le sostanze chimiche di Monsanto sono vietati dall’uso nell’agricoltura biologica e gran parte della messaggistica di Monsanto è che i suoi prodotti sono superiori agli organici come strumenti per incrementare la produzione alimentare globale.

Dieci anni di smartphone, Greenpeace: l’impatto sul pianeta è devastante

La media di utilizzo è di soli due anni. Occorre riciclare i rifiuti elettronici.

In occasione del World mobile congress di Barcellona, Greenpeace ha presentato il rapporto “From Smart to Senseless: The Global Impact of Ten Years of Smartphones” che sottolinea che «Negli ultimi dieci anni, la produzione e lo smaltimento di smartphone hanno avuto un impatto significativo sul nostro pianeta».

Smatphone-recuperoIl rapporto fornisce una panoramica dell’aumento dell’uso degli smartphone in tutto il mondo, a partire dal lancio del primo IPhone nel 2007, e del loro impatto sul nostro pianeta e rivela che «Dal 2007 sono stati usati per la produzione di smartphone all’incirca 968 TWh, quasi l’equivalente di un anno di fabbisogno energetico dell’India. I dispositivi contribuiscono significativamente alla grande crescita dei rifiuti elettronici prodotti: si prevede di arrivare a 50 milioni di tonnellate nel 2017».

I dati presentati da Greenpeace sono impressionanti:  Dal 2007 a oggi sono stati prodotti 7,1 miliardi di smartphone.   Solo nel 2014, secondo uno studio della United Nations University, sono stati prodotti 3 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici legati alla produzione di smartphone. Meno del 16% dei rifiuti elettronici globali viene riciclato.      Solo due modelli su tredici, esaminati come parte delle ricerca da Greenpeace Usa e iFixit, avevano batterie facilmente sostituibili. Questo significa che, quando la batteria inizia a scaricarsi, i consumatori sono costretti e sostituire l’intero dispositivo. Negli Stati Uniti gli smartphone vengono usati per un periodo medio di 26 mesi (circa due anni).   Nel 2020 le persone che posseggono smartphone saranno 6,1 miliardi, ovvero circa il 70% della popolazione globale.

L’autrice dello studio, Elizabeth Jardim,  corporate campaigner di Greenpeace Usa, sottolinea che «Se tutti gli smartphone prodotti nell’ultimo decennio fossero ancora in uso, ce ne sarebbero abbastanza per ogni persona sul pianeta. I consumatori sono spinti a cambiare telefonino così spesso che la media di utilizzo è di soli due anni: l’impatto sul pianeta è devastante. Quando si considerano tutti i materiali e l’energia richiesta per realizzare questi dispostivi, la loro durata e il basso tasso di riciclo, diventa chiaro che non possiamo continuare su questa strada. Abbiamo bisogno di dispositivi che durino più a lungo e, in sostanza, abbiamo bisogno di aziende che adottino un nuovo modello di produzione circolare».

Per questo Greenpeace chiede all’intero settore IT di «adottare un modello di produzione circolare, in modo da affrontare alla radice molte di queste sfide ambientali».

Secondo Greenpece, «Un caso esemplare è quello di Samsung, che dovrebbe impegnarsi pubblicamente al riciclo del Galaxy Note 7s, riducendo al minimo l’impatto sulle persone e sull’ambiente. Invece non è ancora chiaro cosa intenda fare con i 4,3 milioni di telefonini che ha ritirato dal commercio».

Fonte: greenreport.it

Boicottaggio alla pubblicità gratuita delle scarpe Nike a Padova

Boicottaggio alla pubblicità gratuita delle scarpe Nike a Padova
Ragazzino fa come Dybala e oscura il marchio delle sue scarpe da calcio
Padova, va alle media e gioca all’Arcella: “La Nike dovrebbe aiutare anche chi non sa giocare bene ma si impegna a scuola”

PADOVA. Sabato ha letto la notizia sui giornali e al pomeriggio ha messo in pratica la sua personale ritorsione.

La notizia: il fuoriclasse della Juventus, Paulo Dybala, visto che il contratto con la Nike era scaduto il 1° febbraio, ha oscurato lo sponsor dagli scarpini.

“E io – si è detto Luca Zerbetto, 13 anni, centrocampista dei giovanissimi della Juvenilia B.P., la società di via Tiziano Minio, all’Arcella, Padova – perché mai dovrei fare pubblicità gratuita alla Nike, visto che gli scarpini i miei genitori me li hanno anche dovuti comprare?”

Così non ci ha pensato due volte e anche lui, come il fantasista bianconero, ha oscurato il famoso “baffo” delle sue “Mercurial” ed è entrato in campo con le scarpe perfettamente nere.

“Dybala – ha detto Luca, interista, studente di terza media alla “Giotto” di via del Carmine – fa benissimo a chiedere un sacco di soldi ai suoi sponsor. E’ bravo e chi è bravo merita di essere premiato. Purtroppo (ma so che le cose vanno così) i soldi che finiscono sul suo conto corrente arrivano dagli acquisti che effettuano le nostre famiglie, magari “pressate” da noi ragazzi che ci convinciamo di una cosa che non esiste, ovvero che sia la scarpa che fa il bravo calciatore”.

Ma anche se, come dice lui, “le cose vanno così”, una proposta si è sentito comunque di doverla fare.

“I ragazzi che giocano nelle diverse “academy” o che fanno parte delle formazioni di “selezionati” – ha concluso – hanno una loro gratificazione. Ma ce ne sono tanti altri che pur amando il calcio, pur non mancando ad un allenamento, pur rimanendo qualche volta in panchina e dunque non avendo grandi aspettative, magari sono bravi a scuola. Perché i grandi marchi (non solo la Nike) non si sentono in dovere di premiarne, che ne so, un paio per scuola, fornendo loro i materiali per fare il loro sport preferito? Sarebbe un incentivo e, a conti fatti, si farebbero ulteriore pubblicità, ma con un buon fine”.

(fonte: il mattino di Padova 12 febbraio 2017)

Guida al consumo responsabile di pesce

foto_1Qui trovi una lista aggiornata delle guide al pesce sostenibile proposte da diverse organizzazioni, nel quadro di campagne internazionali, regionali, nazionali o tematiche. Queste guide, più o meno dettagliate, vogliono rendere i consumatori più consapevoli riguardo la situazione delle risorse ittiche.
Non sono comunque prive di contraddizioni o difficoltà di utilizzo. Il punto è che l’argomento è molto complicato: esprimere valutazioni sugli stock di pesce in perpetuo movimento in uno spazio immenso non è cosa semplice. Per di più, il settore ittico (pesca, vendita, trasformazione) è fortemente globalizzato, il che rende la tracciabilità del pesce una questione assai delicata. La complessità dei circuiti commerciali, poi, favorisce le frodi e le manipolazioni.

Questa lista è un aggiornamento e integrazione di quella presente nel sito di Slow Food

LA PESCA SOSTENIBILE

Sostenibile è la pesca che preleva dal mare solo ciò che serve, senza sprechi e utilizzando attrezzi artigianali e che hanno un basso impatto sull’ambiente e la fauna marina. È quella pesca che considera il mare e le sue risorse un bene comune, da tutelare anche per le generazioni future.

Tantissimi pescatori operano in questo modo, sono piccole imprese familiari che pescano nel rispetto delle regole e contribuiscono allo sviluppo delle comunità costiere che dipendono dalla salute del mare.

Ma questi pescatori artigianali vengono schiacciati dal potere della pesca industriale, che domina il mercato del pesce e impoverisce pescando in modo eccessivo e spesso distruttivo.

Solo sostenendo la pesca artigianale e sostenibile possiamo invertire la rotta e aiutare il mare!

Nel Mar Mediterraneo, circa il 90% degli stock ittici è pescato eccessivamente e i mercati sono invasi da pesci catturati con metodi di pesca distruttivi e non sostenibili.  Dobbiamo imparare a consumare meno e meglio!(GreenPeace)

GUIDE AL PESCE SOSTENIBILE


Scegli il pesce giusto – GreenPeace

Ogni volta che facciamo la spesa, con le nostre scelte, possiamo creare un mercato del pesce responsabile, che premia chi pesca nel modo più sostenibile e chi fornisce corrette informazioni ai consumatori. Come? Scegliendo i prodotti giusti!


Guida ai consumi ittici – GreenPeace     (Scarica qui il PDF)

Il principio alla base della guida è “Evitare il peggio, sostenere il meglio e cambiare il resto”.


Tonno in trappola – GreenPeace

Il tonno in scatola è la conserva ittica più venduta sul mercato mondiale, con un volume d’affari che si aggira intorno ai 19,3 miliardi di euro l’anno, ma ben pochi consumatori sanno cosa davvero si nasconde nelle scatolette.

Scopri cosa fanno le aziende italiane, visita il sito Tonno in Trappola e leggi la Classifica rompiscatole.


Guida mangiamoli giusti – Slow Food

La lisca della spesa – Slow Food

Durante l’edizione di Slow Fish 2009, Slow Food ha presentato la guida pratica Mangiamoli Giusti per il consumatore del Mediterraneo che si vuole avvicinare alla tematica del consumo di pesce sostenibile, e una versione ludica e didattica chiamata Lisca della spesa per i bambini. Una guida pratica per scegliere in modo consapevole e sostenibile il pesce da mettere in tavola.


Che Pesci Pigliare – WWF

Guida Tascabile

Questa guida si propone come uno strumento pratico ed intuitivo per il consumatore che vuole acquistare prodotti della pesca secondo i principi della sostenibilità ambientale.

Poster

Commissione Europea e WWF Italia presentano la guida per consumatori CHE PESCI PIGLIARE su come scegliere i pesci di mare sostenibili, guida presentata in occasione del Salone del Gusto Slow Food Terra Madre in corso a Torino, parte del progetto “Inseparabili” della Commissione Europea. La guida, sotto forma di poster, fa parte di un pacchetto di materiali che va ad arricchire gli strumenti disponibili per i consumatori per educarli al rispetto delle taglie dei pesci, in base al regolamento europeo in vigore da tempo, per facilitare ulteriormente i consumatori quando fanno gli acquisti. Non tutti sanno infatti che sotto una certa taglia i pesci non possono essere commercializzati, nonostante le regole siano in vigore da tempo; ad esempio la taglia minima per la cernia è almeno 45 centimetri, per le triglie 11 cm, per la spigola 25 e per l’orata di 20 centimetri.


Mr.Goodfish (World Ocean Network), in 5 lingue.

La campagna “Mr.Goodfish”, promossa dal World Ocean Network, ha come obbiettivo la sensibilizzazione del pubblico e degli addetti al settore della pesca sul tema del consumo responsabile delle risorse marine.

Nel breve periodo, l’obiettivo consiste nella progettazione e realizzazione di adeguati strumenti di comunicazione ed educazione in grado di responsabilizzare i consumatori nei loro acquisti, così da ridurre la pressione antropica derivante della pesca non sostenibile e dalla domanda riguardante le specie maggiormente sfruttate.

Nel medio periodo, l’obiettivo è quello di provare e validare tali strumenti nella fase pilota della campagna presso tre partner: Acquario di Genova (Italia), Aquarium de Finisterrae (Spagna) e Nausicaa, Centre National de la Mer (Francia).


Consumare Giusto

Scarica la Guida in PDF

L’Associazione no profit Consumare Giusto si è costituita all’inizio del 2015, ma l’idea nasce nel 2007.
La mission è diffondere i temi della sostenibilità e del consumo consapevole, al fine di migliorare le condizioni delle risorse rinnovabili e degli ambienti naturali, con particolare riguardo verso quelli marini.


 

In cammino verso un sistema alimentare sostenibile

Il nuovo rapporto di Oxfam “In cammino verso un sistema alimentare sostenibile” presenta un aggiornamento della pagella con cui si valuta la sostenibilità sociale e ambientale delle 10 più grandi multinazionali del cibo e fa un bilancio dei tre anni di campagna.

A febbraio 2013 Oxfam ha lanciato la campagna Scopri il Marchio per sfidare le “Dieci Grandi Sorelle del Cibo” sulle politiche e sulle pratiche di sostenibilità sociale e ambientale lungo la filiera di produzione, e per amplificare in modo critico la voce di soggetti chiave quali produttori agricoli, comunità locali, consumatori e investitori che chiedono a queste aziende di agire per il cambiamento.
Le dieci grandi sorelle del cibo in questi tre anni hanno adottato nuovi impegni di ampia portata volti a migliorare gli standard di sostenibilità sociale e ambientale lungo la catena di produzione. Ora, queste grandi multinazionali devono assicurare che i loro fornitori adeguino effettivamente le loro pratiche
coerentemente agli impegni assunti. E per accelerare la trasformazione verso un sistema alimentare più sostenibile, le aziende devono spingersi ancora oltre, adottando nuovi modelli di business nella loro filiera così da assicurare maggior potere ed una più equa distribuzione dei profitti con i produttori e i
lavoratori che forniscono loro la materia prima.

Le pagelle di Scopri il Marchio si focalizzano sull’analisi comparata delle politiche aziendali di dieci multinazionali del cibo – Unilever, Coca-Cola, Pepsi, Nestlé, Danone, General Mills, Kellogg’, Mars, Mondelez e Associated British Food – attribuendo loro un punteggio su scala da 1 a 10 a ciascuna delle seguenti aree tematiche: trasparenza, terra, acqua, cambiamento climatico, produttori agricoli, lavoratori agricoli e donne.

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Leggi l’articolo su oxfamitalia.org: A 3 anni dal lancio di “Scopri il Marchio” è tempo di bilanci

Scarica qui il rapporto “In cammino verso un sistema alimentare sostenibile

Visita il sito di “Scopri il Marchio

Plasmon toglie l’olio di palma dai biscotti per bambini. Un risultato importante che dimostra l’efficacia della pressione dei consumatori

Biscotto-Plasmon-olio-di-palma-senza-Dopo decine di lettere inviate da mamme e papà indignati per la presenza di olio di palma nei biscotti Plasmon, una petizione online su Change.org e il nostro racconto di una mamma arrabbiata perché non ha mai avuto risposte dall’azienda sul tipo di olio vegetale usato nei biscotti, oggi Plasmon ha deciso di dire stop all’olio tropicale, creando addirittura un pagina web dedicata.

 

Continua su ilfattoalimentare.it

 

La moda sfrutta i bimbi siriani rifugiati in Turchia

E’ quanto rivela un report di Business and Human Rights Resource Centre (Bhrrc), un’organizzazione non profit che ha chiesto a 28 grandi aziende di svolgere dei controlli approfonditi sul personale impiegato. Ecco quali sono i marchi coinvolti e le loro posizioni a riguardo

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Le fabbriche turche di alcuni grandi marchi della moda internazionale sfruttano i bambini e i rifugiati siriani. A dirlo è un report di Business and Human Rights Resource Centre (Bhrrc), un’organizzazione non profit che ha chiesto a 28 grandi aziende di svolgere dei controlli approfonditi sul personale impiegato nei loro stabilimenti in Turchia. A rivelare la presenza di minori sfruttati sono stati i due grandi marchi Next e H&M. Primark e C&A hanno detto di avere identificato tra i lavoratori dei loro fornitori rifugiati siriani adulti. Altre case, come Adidas, Burberry, Nike e Puma, hanno detto di non aver trovato rifugiati siriani senza documenti nelle aziende da cui si riforniscono. Anche per questo, le Ong temono che il fenomeno sia ancora più diffuso, nonostante sia in discussione un accordo tra Unione Europea e Turchia per oltre 3 miliardi di euro di aiuti in cambio, tra le altre cose, di permessi di lavoro per gli immigrati siriani che, così, alleggerirebbero i flussi diretti verso il Vecchio Continente.

Il timore del Bhrrc è che il problema sia più esteso di quello emerso fino ad oggi. La Turchia è uno dei Paesi dove è forte la presenza di fabbriche che lavorano per i grandi marchi internazionali nel campo dell’abbigliamento. Sono 28 i brand alle quali l’organizzazione ha richiesto un’indagine approfondita sui propri stabilimenti e quelli dei propri fornitori. La risposta di soltanto due tra queste e l’elevato numero di profughi siriani presenti nel Paese, circa 2,5 milioni, fa pensare a Bhrrc che il fenomeno possa essere più vasto e diffuso. Next e H&M, dopo aver svolto i propri controlli, hanno comunque fatto sapere che si adopereranno per garantire a questi bambini un’educazione e supporto alle loro famiglie.

Tra le aziende coinvolte, sostiene il Guardian in una sua inchiesta, ci sarebbe anche il brand italiano Piazza Italia che, secondo quanto il quotidiano inglese, è stato contattato dal giornalista ma non ha voluto rilasciare commenti.

In Turchia questa situazione ha raggiunto numeri preoccupanti, si legge nel report, nonostante alcuni brand abbiano svolto dei controlli per assicurarsi che i rifugiati non siano “in fuga dal conflitto e sottoposti a condizioni lavorative di sfruttamento”. Secondo l’organizzazione sarebbero centinaia di migliaia i rifugiati siriani che lavorano con stipendi inferiori al salario minimo consentito, soprattutto in fattorie e aziende agricole nelle aree più remote del Paese. Esperti del Centre for Middle Eastern Strategic Studies (ORSAM) parlano di almeno 250 mila rifugiati siriani che stanno lavorando illegalmente in Turchia.

Bhrrc si dice preoccupata soprattutto perché “solo poche di queste aziende sembrano tenere in considerazione e monitorare problemi di questo tipo nelle fabbriche dei loro fornitori in Turchia”, tanto che spesso le ispezioni vengono preannunciate, permettendo ai responsabili di coprire le irregolarità: “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”.

Non è la prima volta che le vicende legate alla guerra civile siriana e le fabbriche di abiti turche si intrecciano. Secondo alcuni report, loStato Islamico controllerebbe circa il 75% dei campi di cotone siriani, con il prodotto finale che, come succedeva prima dello scoppio de conflitto, nel 2011, viene esportato in gran parte in Turchia, dove poi viene utilizzato per la produzione di abiti destinati ai negozi occidentali. Una situazione che permetterebbe agli uomini di Abu Bakr Al Baghdadi di arricchirsi grazie a un mercato che ha come cliente finale i cittadini europei e americani.

ilfattoquotidiano.it – 01 febbraio 2016