Milano, dopo 30 anni chiude McDonald’s: la sua ricetta non piace più in Italia (e nel mondo)

Chiude un punto vendita Mcdonald’s a Milano dopo ben 30 anni di attività. Una crisi che ha investito il marchio nella sua interità e che non sembra essere passeggera. Le previsioni, infatti, non sono affatto rosee.

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Sarà un caso sicuramente, ma proprio mentre lo stile italiano continua a conquistare nuovi spazi nelle maggiori capitali del mondo, come Londra, dove dopo la “trattoria” in stile italiano di Angela Hartnett sarà la volta dello chef Jacob Kenedy di inaugurare la sua “pizzeria” italiana, Vico, dove sarà possibile mangiare “street food” di origine rigorosamente italiana a prezzi assolutamente abbordabili (Kenedy è del resto da tempo innamorato dell’Italia: è suo, infatti, il ristorante di lusso Bocca di Lupo, sempre a Londra), lo stile “fast food” è sempre più in crisi, a cominciare dall’insegna più nota al mondo, quella di McDonald’s. Non è un caso che il 19 Luglio abbia chiuso il primo McDonald milanese, quello di San Babila, aperto ormai 30 anni fa.

Non solo da un paio d’anni almeno le trimestrali del gruppo si succedono deludendo quasi invariabilmente le attese di analisti e investitori: secondo un sondaggio condotto da Mark Kalinowski, analista finanziario che da anni è specializzato nel settore della ristorazione, avendo lavorato tra l’altro per broker come Janney Montgomery Scott, Buckingham Research Group e Citigroup, le cose rischiano di andare ancora peggio in futuro. Le previsioni per i prossimi sei mesi sono infatti al loro minimo storico.

Mark ha chiesto a 29 franchisee che nel complesso posseggono 208 ristoranti McDonald’s in tutti gli Stati Uniti, di indicare le proprie previsioni sull’andamento degli affari nei prossimi sei mesi dell’anno utilizzando una scala da 1 (deludente) a 5 (eccellente): il risultato medio è risultato pari a 1,69, il minimo da quando 12 anni fa Mark ha iniziato a condurre questo sondaggio. Notare che il minimo precedente era stato toccato, solo tre mesi fa, con un indice medio di 1,81.

Non è solo una questione di aspettative: dall’indagine è emerso che in giugno le vendite dei 29 franchisee sono in calo mediamente del 2,3% annuo, calcolate sui soli ristoranti che erano già aperti 12 mesi fa (“same store sales”) e che ci si aspetta un ulteriore calo dell’1,2% nel mese di luglio. Un dato peggiore delle attese degli analisti di Wall Street, il cui consenso parla tuttora di un incremento delle vendite, fatto che rischia di portare a nuovi cali del titolo in borsa.

Cosa non sta funzionando del tentativo, messo in atto da tempo, di far voltare pagina al gruppo? Uno dei partecipanti al sondaggio è stato fin troppo esplicito: “L’azienda non ha risposte. Loro (i manager di McDonald’s, ndr) stanno provando a gettare delle idee contro il muro, sperando che qualcuna attecchisca. La loro arroganza complessiva è venuta alla radice”. Almeno in questo le grandi corporation Usa non sembrano molto dissimili da quelle di tutto il resto del mondo, ma se in altri casi l’arroganza del management può essere tollerata dai risultati che ottiene, in casa McDonald’s non è così.

Eppure McDonald’s ha reagito alla pubblicazione del report, che a Wall Street ha ceduto giovedì l’1,8% e venerdì un ulteriore 0,37%, con una nota sdegnata in cui si sottolinea come siano “circa 3.100 i franchisee che possiedono e gestiscono ristoranti McDnald’s in tutti gli Stati Uniti. Meno dell’1% di essi è stato intervistato per questo report. Valutiamo il feedback dei nostri franchisee ed abbiamo solide relazioni di lavoro con essi”.

A giudicare dalla risposte dei singoli partecipanti al sondaggio non si direbbe che le cose stiano così, almeno non in tutti i casi. Tra le lamentele più frequenti, sono state citate deboli azioni di marketing, una “povera” percezione da parte della clientela e l’ignoranza dell’azienda (ovvero dei suoi manager). Uno dei rispondenti ha ad esempio spiegato che le sue vendite “continuano a calare a causa dei nuovi concorrenti” e di non attendersi niente di buono per tutto il 2015. Un altro ha spiegato che “almeno metà degli operatori della mia regione sono sull’orlo di un collasso. Con la paga minima dei dipendenti dei fast food che potrebbe continuare a crescere, siamo affrontando una situazione di crisi”.

Il sospetto di molti analisti, tuttavia, è che più che un problema di costi o di marketing non particolarmente brillante, McDonald’s non stia riuscendo a tener testa a nuovi e più aggressivi concorrenti, da Shake Shack a Sonic piuttosto che Whataburger, le cui vendite sono costantemente in crescita e che dunque erodono la base-clienti di McDonald’s mese dopo mese. Nel tentativo di metterci una pezza a maggio il Ceo Steve Easterbrook ha annunciato un piano di ristrutturazione che dovrebbe portare a 300 milioni di dollari di risparmio all’anno e che prevede, tra l’altro, che entro il 2017 solo il 10% dei ristoranti con insegna McDonald’s sia di proprietà dell’azienda, contro l’80% attuale.

Inoltre la società inizierà a diffondere i risultati di vendita solo più su base trimestrale, e non mensile come finora, a partire dal terzo trimestre dell’anno. Mosse che mi paiono molto difensive e forse persino all’insegna di una minore trasparenza, come se il management pensasse che a far guadagnare terreno alla concorrenza sia l’eccessiva conoscenza della “ricetta” aziendale di McDonald’s. Non sembra tuttavia essere questa la sola né la principale causa di debolezza della maggiore catene di fast food al mondo, che ha iniziato ad andare in crisi prima sui mercati internazionali, poi anche negli Usa, per non aver saputo proporre nuovi menù in grado di soddisfare una clientela sempre più esigente e non necessariamente con poco denaro da spendere. Che McDonald’s sia destinata ad essere la vittima più illustre della crescita del reddito mondiale? L’ipotesi al momento non può essere esclusa.

fonte: http://www.fanpage.it/  –  20 luglio 2015

 

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